Un buon Diavolo

Michela voleva qualcosa.
Una cosa che sapeva bene che sarebbe riuscita ad ottenere solo attraverso una mia intercessione.
Si era fatta coraggio e si era lanciata.
-Ti prego, so di chiederti molto…- aveva detto con umiltà.
Mi stai chiedendo “veramente” molto.– avevo replicato.
-Lo so, ma so anche che con un tuo intervento posso riuscirci!- aveva replicato per indorarmi l’ego.
Mi dovrei esporre notevolmente e giocarmi carte che non potrei più sfruttare in seguito…– le spiegai.
Ed era vero. Si trattava di prendere un impegno notevole da parte mia.
Aveva sospirato.
-Se lo fai te ne sarò grata per sempre- sottolineò seriamente -potrai chiedermi qualsiasi cosa, in ogni momento…- si era sbilanciata.
-Non mi tirerò mai indietro su nessuna tua richiesta.- aveva dichiarato con convinzione.
-Se mi aiuti mi cambierai la vita.-
Vero anche questo.
Avevo lasciato qualche secondo di silenzio sospeso nell’aria (che ci volete fare, amo la teatralità) poi avevo risposto.
Va bene, lo farò.– sentenziai
Ma prima che si sbracciasse in sdolcinate manifestazioni d’entusiasmo avevo aggiunto.
Lo farò, ma tu non dovrai sentirti in debito con me, né sentirti in obbligo o in dovere di ricompensarmi in nessuna maniera. Mai.
Era rimasta senza parole, ma alla fine una domanda le era scivolata sottovoce dalla bocca.
-Perché?-
Perché sarebbe come fare un patto con il Diavolo.– avevo risposto sorridendo e facendole l’occhiolino.

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Ombre

A volte le affinità non bastano.
Anche se le alchimie sono quelle giuste, le empatie esasperanti e l’attrazione trascinante e disperata, basta poco perchè un sorriso venga scambiato per una sfida ed una frase accolta come provocazione.
Questione di tempi. Tempi e ritmo.
La nostra stessa esistenza si basa su pulsioni temporali e vibrazioni.
A loro dobbiamo il battito del cuore e la nostra consistenza e se si vibra su piani diversi si diventa intangibili agli altri e spesso anche invisibili.
E’ così che il coltello fende l’aria ed il vetro non riflette la sua consistenza.
E così quello che non si riesce a toccare (perché ci sfugge?) e a malapena si vede (vuole nascondersi?) si trasforma in qualcosa di incomprensibile ed ostile.

Forse in un altro tempo ed in un’altra dimensione….ma non ora e non così.

Quindi meglio il Buio.
Nel buio siamo tutti uguali.

Omonero Omocircle


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CITARSI ADDOSSO: Parole

Le parole giuste vengono sempre alla fine.
Quando la porta si è chiusa alle tue spalle; dopo che hai spento il cellulare; quando il treno ormai è partito.
Le parole che avrebbe sanato, quelle che avrebbero chiarito o quelle, che perlomeno, ti avrebbero fatto uscire di scena col riflettore puntato addosso.
E quelle parole continuano a rimbalzarti in testa a velocità esponenziale, assumendo traiettorie dalle geometrie improbabili, mischiandosi con altre parole, frasi che avresti dovuto dire in passato, altre che non avresti mai dovuto pronunciare.

Parole.

Parole che si arrotolano, si allacciano, si annodano; frenetiche come vermi che cercano di uscire dal barattolo delle esche; in cerca di fuga, in cerca di sfogo.
E ne sei talmente ossessionato che neanche ti accorgi di bisbigliarle a bassa voce mentre cammini per strada da solo.

Stupido, pazzo.
E idiota.

OMONERO omocircle2

 


acconciCOWDETgdmVito Acconci “City of Words” ©

Chemin de Fer

Quante città.
Livorno, Crema, Napoli, Firenze, Parigi, Fabriano, Salerno, Amsterdam, Marsiglia, Trieste, Perugia, Nizza, Torino, Foggia, Berna.
E ad ogni posto associo un volto di donna, e ad ogni donna un nome.
Laura, Sophie, Ernesta, Gabriella, Maura, ZeeDee, Gisele, Silvia, Fabrizia, Claire, Adriana, Marcela, Titti, Manuela, Paola.
E di ogni donna ho un souvenir.
Un sorriso, un insulto, il sapore di un abbraccio, il calore di uno sguardo, un tatuaggio, quel certo modo di parlare, il neo in fondo alla schiena, il profumo di un peccato, una bugia o una piccola cicatrice.

Cento città, cento nomi, cento cuori.
E quanti chilometri ho macinato.
Quasi sempre in treno. Lasciando a degli sconosciuti il compito di portarmi a destinazione per concedermi il lusso di divagare e leggere, sognare e scrivere, immaginare e disegnare.
Gli aerei sono troppo veloci e guido solo quando sono nervoso o devo concentrarmi su un singolo pensiero. Il treno, invece, ha il giusto ritmo. Un soul tutto particolare.
Eurostar, Italo, regionali, intercity e transeuropei. E quando esistevano anche gli accelerati e gli espressi.
Ho viaggiato su tutto.
Accovacciato su scomodi sedili in legno, sprofondato (e sbronzo) sul soffie letto di un vagon-lit, appollaiato su un predellino, raggomitolato in una cuccetta di una carrozza a sei.

E se ricordo una donna, ricordo la sua città e rammento anche i treni che mi portavano da lei; lo scricchiolio dei vagoni in movimento, i rallentamenti in certi punti della tratta, le gallerie e lo sguardo liquido ed appannato della condensa che mi spiava dai vetri dei finestrini.
Notti gelide, afosi tramonti; la campagna sotto la pioggia e paesi bagnati dalla luce colorata di assonnate domeniche al gusto di primavera.

Cento città, cento nomi, cento cuori, cento stazioni.
Piccoli buchi dimenticati da Dio e dagli uomini con una panchina di pietra come unico ricovero ed un cesso rotto da decenni; opprimenti mausolei fin du siecle infestati da viaggiatori dai volti grigi e lo sguardo vacuo; moderne ed orripilanti sale chirurgiche, blasfeme quanto il mercato nel tempio; invitanti cucce per il viaggiatore stanco e confuso, semplici e familiari come la cucina di tua madre.

E in ogni stazione ho lasciato qualcosa di mio.
Un ombrello scordato, un rimorso masticato, un addio rifiutato.
Un pacchetto di caramelle in un cestino, una lacrima in un fazzoletto, una rivista letta, una pisciata su un muro.

Cento stazioni, cento treni, cento donne.
E ad ognuna di loro ho lasciato un pezzetto del mio cuore, ma loro…loro mi hanno regalato molto di più.

Sarebbe divertente se qualcuno un giorno sulla mia lapide scrivesse:
“Pendolare dei Sentimenti”